sarebbe stato meglio non uscire di qui che doverci ritornare.

13 agosto 2005 § Lascia un commento

– Al? Cosa stai facendo?
Si voltò verso la soglia dove era apparsa Enid. Cominciò una frase: –  Sto… – ma quando veniva colto di sorpresa ogni frase diventava un’avventura nella foresta; non appena perdeva di vista la luce della radura da cui era entrato, si accorgeva che le briciole che aveva seminato per orientarsi erano state mangiate dagli uccelli, esseri che sfrecciavano silenziosi nelle tenebre e che lui non poteva vedere ma che si accalcavano così numerosi per la fame da sembrare tenebra loro stessi, come se l’oscurità non fosse uniforme, non fosse assenza di luce ma una cosa brulicante e crepuscolare, e in effetti quando da studente aveva incontrato la parola «crepuscolare» nel McKay’s Treasury of English Verse, ne aveva fuso il significato con i corpuscoli della biologia, e così per tutta la vita aveva continuato a vedere nel crepuscolo una corpuscolarità, come la grana della pellicola più sensibile che si usa per fotografare quando la luce è scarsa, come una specie di sinistra decadenza; e da qui era nato il panico di un uomo abbandonato nel folto della foresta, la cui oscurità era quella degli storni che cancellavano il tramonto o delle formiche nere che assalivano il cadavere di un opossum, un’oscurità che non solo esisteva ma che consumava con risolutezza i punti di riferimento che lui aveva saggiamente fissato per non perdersi; ma nell’istante in cui capiva di essersi smarrito, il tempo diventava straordinariamente lento, e Alfred scopriva eternità inimmaginabili nello spazio fra una parola e l’altra, o piuttosto rimaneva intrappolato in quello spazio fra le parole, e restava a guardare il tempo che correva senza di lui, e la sua parte fanciullesca e spensierata si allontanava brancolando nella foresta mentre l’Al adulto, intrappolato, si chiedeva con un’ansia stranamente distaccata se il ragazzino impaurito, che si era perduto e non sapeva più com’era entrato nella foresta di quella frase, sarebbe giunto alla radura dove Enid lo stava aspettando, ignara della foresta. Alfred sentì la propria voce dire: – Sto facendo la valigia. – Suonava bene. Verbo, articolo, sostantivo. Davanti a lui c’era una valigia, una conferma importante. Non si era tradito.
Ma Enid aveva parlato ancora. L’audiologo aveva detto che Alfred stava perdendo l’udito. La guardò accigliato, senza seguirla.
– Oggi è giovedì, –  disse Enid, a voce alta. – Non partiremo prima di sabato.
–  Sabato! –  le fece eco Alfred.
Allora lei lo rimproverò, e per un po’ gli uccelli crepuscolari si ritirarono, ma fuori il vento aveva spento il sole e faceva molto freddo.
 
 
(Jonathan Franzen, Le correzioni)

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